AMT Tea Break di novembre 2019 – Il “primo incontro” di mediazione

In occasione del Tea Break del 12/11/2019 si è parlato del c.d. “primo incontro” di mediazione, da qualche anno un passaggio obbligato per la più parte delle mediazioni (almeno di quelle che si svolgono ex decreto 28/2010)
Di che si tratta?

1. La previsione normativa

L’art. 8 del decreto 28/2010 prevede (nel testo così modificato dall’art. 84(1)(h), d.l. 69/2013) che “All’atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell’organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre trenta giorni dal deposito della domanda. […] Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento”.
L’art. 5.2 bis specifica poi che “Quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo”.
Si consideri che l’art. 8.1 pure prevede che “Al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato” anche se tale previsione viene interpretata some valida solo per il caso delle c.d. materie obbligatorie, cioè quelle previste 5.1bis del provvedimento per le quale l’esperimento della mediazione è prevista come necessariamente propedeutica all’avvio di un’azione giudiziale.

2. Il dibattito

Relativamente a tali previsioni normative – invero non chiarissime – si è sviluppato un acceso dibattito e si sono affermate prassi difformi. La discussione specie a livello dottrinale e giurisprudenziale si è, invero, più che altro concentrata su questioni relative alla connessione fra mediazione e processo, sostanzialmente:

  • Come e quando può dirsi soddisfatta la condizione di procedibilità prevista dall’art. 5 del decreto 28/2010?
  • È richiesta o meno della presenza personale delle parti?
  • Che forma deve avere l’eventuale procura a terzi?

ma sono pure emersi temi più ‘sostanziali’…

3. … in particolare: la portata dell’impegno del mediatore

Una delle questioni ‘pratiche’ più rilevanti, emerse dalla pratica di questi ultimi anni, attiene alla portata dell’impegno richiesto al mediatore:
Deve questi limitarsi a illustrare cos’è la mediazione e raccogliere il consenso o meno delle parti a proseguire ovvero deve far tutto il possibile affinché le parti “entrino” effetivamente in mediazione?

Il tutto a fronte dell’eseguità delle tariffe destinate a remunerare sia l’organismo che il mediatore. Queste, infatti, oggi fortemente limitate amministrativamente nel loro ammontare – €40 ovvero €80 a carico di ciascuna parte sostanziale, a seconda che il valore della controversia sia inferiore o meno ad € 250.000 (art. 16 d.m. 180/2010) – specie nei casi in cui il primo incontro si protragga nel tempo. Il mediatore inoltre spesso nulla riceve dall’organismo (unico soggetto abilitato a ricevere del denaro dalle parti) laddove la mediazione non prosegua.

Non sono stati infrequenti casi di degenerazione, che talora hanno fatto legittimamente pensare a malafede, con parti (o loro legali) che effettivamente impegnano il mediatore in una mediazione di ore, pur non avendo dato (ed il mediatore raccolto) un espresso consenso, alla fine sostenendo in caso di mancato raggiungimento di un’intesa, di nulla dovere all’organismo (e quindi al mediatore) sulla scorta propria dell’assenza di un espresso assenso a proseguire.

Nei fatti ed in generale (a prescindere cioè dal fatto che il mediatore sia trasformativo o no, o che si versi o no in mediazioni ‘obbligatorie’), il c.d. “primo incontro”, collocando volutamente avanti al mediatore la fase di costruzione del consenso se esperire o meno la mediazione, ha flesso in modo peculiare la normale prassi secondo la quale tale consenso viene ricercato (ed eventualmente ottenuto) prima che la mediazione vera e propri inizi. Ciò ha comportato inevitabilmente un impegno del mediatore che di regola difficilmente si limita ad un’asettica registrazione degli intendimenti delle parti e rischia di non essere compensato (se non nei casi in cui la mediazione procede e prevede un compenso sufficiente, tale da ‘assorbire’ anche l’attività del primo incontro).

In un mondo ideale, tale sensibilizzazione dovrebbe avvenire soprattutto a carico dei legali di parte (art. 4.3, decreto 28: “All’atto del conferimento dell’incarico, l’avvocato è tenuto a informare l’assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal presente decreto e delle agevolazioni fiscali…”) e come effetto di un’informazione al pubblico a cura del Ministero di Giustizia (art. 21, decreto 28: “Il Ministero della giustizia cura, attraverso il Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri e con i fondi previsti dalla legge 7 giugno 2000, n. 150, la divulgazione al pubblico attraverso apposite campagne pubblicitarie, in particolare via internet, di informazioni sul procedimento di mediazione e sugli organismi abilitati a svolgerlo”).

Ma così oggi ancora non è.

… ed il ruolo dei legali di parte

Altro aspetto interessante attiene al ruolo giocato dai legali di parte, specialmente (ma non esclusivamente) laddove la parte da questi rappresentata non sia personalmente presente. Che tipo d’interazione può utilmente svilupparsi?

* * *

In occasione del tea break, partecipato da parecchi soci AMT (ma anche da qualche non socio) si sono scambiate le esperienze fatte ed i problemi incontrati nel ‘primo incontro’.

Ecco una serie di indicazioni pratiche che, alla luce di quanto discusso, possono tornare utili ai mediatori L’elenco è necessariamente sintetico e molto probabilmente non esaustivo:

Cosa deve fare il mediatore nel primo incontro?

Al fine di evitare fraintendimenti quanto alla portata del primo incontro e relativi compiti in capo al mediatore…

… pare consigliabile che lo stesso (come pure anche organismo gestore) sia estremamente chiaro sulla piena libertà di scelta che le parti hanno di proseguire o no nella mediazione. Il ‘primo incontro’ costituisce un’importante occasione per poter assumere decisioni informate, in autonomia. Sotto questo profilo “il primo incontro è mediazione”.
Il mediatore trasformativo cercherà quindi di supportare le parti in questo processo decisionale, dando loro empowerment ed aiutandole a chiarire gli aspetti che magari non solo loro stati spiegati (es. implicazioni, costi, modalità di gestione del confronto, ruolo del mediatore, …).
Non vi sono controindicazioni al fatto che tale opera di supporto possa essere in parte svolta anche in occasione di contatti informali precedenti lo stesso primo incontro (es. con contatti telefonici o incontri di chiarimento presso i legali). Inevitabilmente tale impegno prende del tempo e rischia di non esser remunerato adeguatamente; ma stante l’attuale impianto legislativo e regolatorio, ciò appare uno scotto inevitabile.
Una cosa è certa: nel modello trasformativo, il mediatore non deve spingere o consigliare le parti, ma solo supportarle nel loro processo decisionale. Il mediatore deve ricordarsi che non è a conoscenza di tutti i pro e contra che possono far andare la decisione da una parte o l’altra. Solo le parti (e forse, i loro avvocati) li conoscono. Può non essere ancora il momento giusto per mediare, come pure le parti semplicemente possono non aver voglia di farlo.
Ogni scelta va rispettata (e il mediatore non può farsi condizionare da proprie impressioni o da un generale favor che inevitabilmente egli riserva allo strumento – per non dire ovviamente di venali interessi propri).

Che fare se le parti cominciano a discutere nel merito prima di essersi formalmente espressi per il proseguimento della mediazione?

Dipende dall’idea che il mediatore s’è fatto quanto al livello d’impegno richiestogli/le dalla legge…

Se ritiene questo non ricomprenda alcuna discussione sul merito, allora per quanto facile possa essere nei fatti traslare in tale territorio, il mediatore cortesemente ricorderà alle parti che ciò può esser fatto solo dopo aver preliminarmente deciso se esperire la mediazione. Intendiamoci, nulla vieta alle parti ed ai loro legali di discutere nel merito, ma nulla obbliga in tal caso il mediatore a fornire il suo supporto. Ricordare tali presupposti non significa esser direttivi.
Se il mediatore è invece disponibile ad assistere le parti anche nella discussione sul merito anche prima che decidano se esperire la mediazione, allora sappia che rischia di farlo pro bono.

Che fare se una o più parti non è presente personalmente?

Tralasciando gli aspetti di regolarità formale che qui non interessano, chiaro è che la mediazione, nell’ottica trasformativa, avviene ‘qui ed ora’

… vale a dire fra le persone che tra loro interagiscono (possono in certi casi farlo da remoto, anche se ciò comporta qualche problema inevitabile di comunicazione). Quindi che un presente sia parte, avvocato, altro consulente o accompagnatore della parte poco rileva.

È possibile (o consigliabile) condurre il primo incontro con incontri separati?

Nel modello trasformativo, questa domanda ha poco senso

… visto che modi e tempi di conduzione di una sessione di mediazione li decidono le parti, non il mediatore. È certamente quindi possibile che vi siano occasioni in cui le parti si ritirano in stanze separate, con o senza il mediatore, se le parti lo desiderano (cosa che peraltro non avviene così di frequente). Che sia consigliabile, certo non dev’esser preoccupazione del mediatore.

Che fare se all’esito del primo incontro le parti manifestano l’esigenza di riflettere ulteriormente?

Ciò è perfettamente comprensibile in molti casi…

… La cosa, quindi, di principio non dovrebbe porre problemi al mediatore trasformativo, anzi è indicatore che un certo processo decisionale è in atto e che quindi l’intervento del mediatore può esser stato utile. Certamente, da un punto di vista pratico – stante il ricordato attuale assetto normativo – ciò può comportare un impegno ulteriore per il mediatore e l’organismo (ri-fissazione di altro incontro, …).
Se nei fatti la richiesta non eccede i limiti del buon senso (sono decisamente rari i casi in cui il ‘primo incontro’ venga aggiornato per più di una/due volte) tale impegno addizionale può esser considerato, anche se talora a malincuore, alla stregua di quello richiesto dal sistema per il singolo primo incontro.

Come gestire i collegamenti con parti a distanza?

Pur non essendo questo un tema direttamente interessante l’approccio adottato trasformativo o meno dal mediatore…

… se n’è discusso vista la relativa frequenza riscontrata, sia nei casi in cui le parti localizzate geograficamente a distanza dal luogo di riunione, sia nei casi in cui è noto o molto probabile che le parti chiamate non si presentino (e sia quindi inutile scomodarsi per presenziare all’incontro).
Va tenuto presente che la regola primaria al riguardo è quella posta dall’art. 8.2 decr. 28: “Il procedimento si svolge senza formalità presso la sede dell’organismo di mediazione o nel luogo indicato dal regolamento di procedura dell’organismo” da leggersi insieme a quella prevista all’art. 16.3 relativamente ai requisiti che deve avere il regolamento di procedura predisposto dall’organismo: “Nel regolamento devono essere previste, fermo quanto stabilito dal presente decreto, le procedure telematiche eventualmente utilizzate dall’organismo, in modo da garantire la sicurezza delle comunicazioni e il rispetto della riservatezza dei dati.
Proprio alla luce di quanto previsto dalla seconda regola qui ricordata, il Ministero di Giustizia ha adotta al riguardo un atteggiamento estremamente restrittivo, considerando in primo luogo come telematica qualsivoglia modalità di svolgimento che non avvenga fra presenti (es. anche per telefono, quindi) e prevedendo che tale modalità telematica debba svolgersi esclusivamente tramite piattaforma incorporata nel sito web dell’organismo come dominio di secondo livello, rispondente a tutta una serie di parametri di sicurezza.

Non solo, il Ministero è giunto a prescrivere come debba svolgersi la predisposizione del verbale da parte del mediatore:

  1. predisposizione e raccolta delle firme dei presenti;
  2. invio del verbale a ciascuna delle persone collegate in remoto;
  3. sottoscrizione da parte di questa di copia del verbale con ricorso o a firma digitale certificata o autentica da parte di pubblico ufficiale;
  4. invio di tale copia al mediatore;
  5. verifica da parte del mediatore che ogni copia così ricevuta corrisponda all’originario verbale.

No comment.

Ci son diversi modi di fare il mediatore…

Ci son diversi modi di fare il mediatore perché diversi possono essere gli obiettivi che il mediatore si prefigge (e quindi le modalità con le quali vuole perseguirli).
Spesso tali obiettivi sono frutto di una scelta espressa del mediatore, altre volte invece sono il portato implicito di altri fattori (in particolare la formazione ricevuta, l’esperienza maturata, la sua indole naturale ed il contesto in cui la mediazione si svolge).
Come ho recentemente ricordato nel mio lavoro La mediazione trasformativa (Tiaki Publ, 2018, 15ss) – cui rimando per approfondimenti – possono, grosso modo, essere identificati tre grandi modelli di riferimento cui ogni mediatore (consciamente o meno) fa riferimento:
• Il modello armonico: orientato alla ricostituzione degli strappi che il conflitto comporta sia a livello interpersonale che nell’ambiente in cui i soggetti coinvolti operano;
• Il modello razional-funzionalista: orientato alla identificazione di soluzioni ai problemi identificati come base / espressione del conflitto;
• Il modello relazionale: orientato al superamento degli ostacoli che impediscono o ostacolano la relazione fra le parti.

L’approccio trasformativo può dirsi collocato nel terzo (il modello relazionale), in quanto è orientato al miglioramento della qualità dell’interazione fra le parti.
Vi è un dato peculiare peraltro del modello trasformativo rispetto a quasi tutti gli altri e cioè che esige dal mediatore un approccio non-direttivo (vale a dire non teso a condizionare le parti in lite quanto al modo di confrontarsi o alle risoluzioni da adottare).
La maggior parte degli altri approcci, se non tutti, presentano un grado di direttività più o meno elevato.
Questa differenza di approccio mentale si traduce in differenti strategie che vengono impiegate dal mediatore nella pratica.
Un recente articolo apparso sul blog dell’ISCT ha ad esempio affrontato la questione del ricorso alle c.d. ‘sessioni congiunte’ (vale a dire con tutte le parti presenti) piuttosto che a quelle ‘individuali’ (con solo parte di esse). Il ricorso alle une piuttosto che alle altre esemplifica in maniera evidente la differenza di base fra l’azione dei mediatori trasformativi e quella di mediatori che adottano un diverso approccio. Prendiamo in particolare i mediatori problem-solving, che probabilmente costituiscono la maggioranza dei mediatori oggi operanti. Il loro modello di riferimento può dirsi il secondo di quelli sopra richiamati (quello razional-funzionalista). Consciamente o meno essi perseguono l’obiettivo di ‘metter le parti d’accordo’ (usano infatti dire che la mediazione “ha successo” se si chiude con un’intesa) e per raggiungere tale obiettivo mettono in campo usualmente tecniche diverse (dalle più rozze alle più raffinate), che comunque tendono ad “instradare” le parti verso una soluzione concordata. L’uso delle sessioni separate è una delle più usate, perché permette al mediatore di ricostruire la “vera” mappa delle rispettive esigenze (al di là delle pretese manifestate nel confronto aperto). Funzionale a ciò è, nell’incontro individuale, la confidenzialità dello stesso e l’assenza di fattori perturbanti quali soprattutto la presenza della controparte. Spesso, il mediatore fa uso in ogni sessione separata delle informazioni raccolte nelle precedenti – certo non in maniera plateale (violerebbe l’impegno di confidenzialità), lavorando piuttosto sui pertugi che sa essere aperti, o su prospettive nuove che ha intuito essere attuabili. La distinzione fra i due tipi di sessione (congiunta ed individuale – spesso chiamata caucus, mutuando un termine dal gergo politico statunitense) è quindi decisamente importante per il mediatore problem-solving. Il ricorso alla prima viene fatto di regola in apertura di mediazione e poi solo quando le prospettive di un accordo possono dirsi assai buone. Il rischio è che il castello di carte crolli ed occorra ripartire da zero (molti mediatori infatti evitano del tutto di mettere insieme le parti e nel corso dell’intera sessione di mediazione vanno da una stanza all’altra per consultare separatamente le parti, che quindi mai si trovano faccia a faccia).
Nell’ottica trasformativa una tale differenza non ha un gran senso. Il termine “sessione congiunta” viene raramente utilizzato, dato che è la modalità ovvia con cui la mediazione si tiene. Le sessioni individuali possono anche esserci, ce una parte ne manifesta il bisogno, ma ciò nei fatti accade poco frequentemente.
Il fatto è che il mediatore trasformativo interpreta il suo ruolo, come sopra ricordato, nel senso di supportare il miglioramento dell’interazione fra le parti. E se queste non si parlano, non c’è alcuna interazione. Questo viene esplicitato dal mediatore sin dai primi contatti con le parti, spiegando loro che il ruolo del mediatore è quello di aiutare le parti ad avere un confronto costruttivo e che ogni decisione al riguardo è comunque a loro rimessa.
Intendiamoci, quindi, in base al principio di non-direttività, il mediatore trasformativo rispetta l’eventuale desiderio/esigenza delle parti di starsene ognuna nella propria stanza e non incontrarsi. Quel che comunque il mediatore in genere evita di fare in tali casi è quella di agire da latore di messaggi da una parte all’altra, perché inevitabilmente personalizzerebbe tali messaggi e assumerebbe il controllo sugli stessi e sull’andamento dell’interazione che si realizza così fra parti distanti.

Mediatori trasformativi a Brno

Da qualche anno anche in Repubblica Ceca l’approccio trasformativo alla mediazione sta prendendo piede (grazie anche a ADR Quadra che organizzò nell’ottobre del 2012 un corso base a Milano cui parteciparono Lenka Poláková e Robin Brzobohaty, due mediatori familiari di Olomuc che poi cominciarono a divolgare il verbo nel paese).
Un articolo recentemente postato da Dan Simon (componente il board di ISCT) dà conto di un workshop di perfezionamento tenuto lo scorso luglio presso il centro di mediazione di Brno diretto da Martina Cirbusová.

L’incontro era focalizzato sui conflitti in ambito familiare ed i mediatori si sono trovati ad esercitarsi su casi nei quali il conflitto era di particolare intensità. Particolare attenzione è stata posta alle strategie del mediatore che includono l’uso del c.d. check-in, vale a dire la verifica con la/e parte/i di come valutano la situazione e di quali mosse pensano sia opportuno intraprendere. Ad esempio in un caso esaminato i due coniugi avevano affrontato animosamente  vari argomenti, partendo dalla programmazione delle visite ai figli ma finendo presto a parlare di soldi. Quando il mediatore ha riassunto quello che era emerso ha detto “All’inizio voi avete parlato del calendario delle visite ed accennato al fatto che sarebbe opportuno metter nero su bianco, ma poi il discorso è passato a temi diversi. Volete riprenderlo ora questo tema, o preferite…?“.

Evidentemente il check-in è uno strumento che da usare con delicatezza perché facilmente può essere usato a fini direttivi (portare cioé le parti a discutere di quello che a parere del mediatore è importante affrontare). Il mediatore trasformativo invece cura che questa sia un’occasione per le parti di valutare la situazione ed esprimere, se credono, il loro punto di vista. La chiave è l’atteggiamento mentale del mediatore: non tradire l’idea di aiutare candidamente le parti, senza imporre loro il proprio punto di vista.

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