Incontro con M Claudia Perego e Mario Dotti sul loro nuovo libro “Dalla contesa all’intesa. Strategie vincenti per l’avvocato efficace in mediazione”.
Incontro con M Claudia Perego e Mario Dotti sul loro nuovo libro “Dalla contesa all’intesa. Strategie vincenti per l’avvocato efficace in mediazione”.
In occasione del Tea Break del 14/01/2020 si è parlato di parti e avvocati in mediazione.
Per quanto riguarda le mediazioni ex decreto 28/2010, è noto come le parti debbano avvalersi di avvocati nei casi in cui la mediazione sia prevista (art. 5.1 bis) come necessario prodromo all’avvio di un’azione in giudizio, le c.d. mediazioni obbligatorie” (in realtà, come noto, la terminologia è fuorviante perché quello che viene chiesto alle parti è, in pratica, di partecipare ad un primo incontro informativo, restando libere di optare se esperire o meno la mediazione ‘vera e propria’ – sull’argomento v. qui).
L’art. 8.1 del decreto 28 prevede, infatti, che “Al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato” e, anche se tale previsione non lo specifica, il precetto viene interpretato come valido solo per il caso delle c.d. materie obbligatorie.
Un primo problema pratico emerso è stato quello del costo e degli oneri aggiuntivi a carico delle parti, che tale previsione rende necessari. Non si tratta di cifre irrisorie, considerato che per la maggior parte delle situazioni affrontate dai mediatori che hanno partecipato alla discussione – valutabile di valore da €25.000 a €50.000 – il costo medio per la partecipazione all’incontro informativo si è attestato sui €400 ca a carico di ciascuna parte. Laddove invece la mediazione sia stata svolta, l’esborso saliva ad almeno €2.500 e più (considerato anche il numero delle sessioni resesi necessarie).
In taluni casi è stato riportato che il costo ha fatto optare le parti per NON procedere con la mediazione.
Chiaramente si tratta di indicazioni di massima e di un campione estremamente limitato, ma è da chiedersi se la norma sia sensata e quale sia la sua vera ratio.
Al riguardo, non può credersi la ratio sia quella di assicurare una tutela adeguata alle parti, in scelte che possono incidere sui loro diritti. Non si vede infatti perché tale paternalistica attitudine dovrebbe giustificarsi in mediazione laddove non è prevista né nell’ordinaria gestione dei propri affari per via contrattuale, né nella gestione delle controversie per via arbitrale.
Neppure appare giustificato addurre giustificazioni relative alla complessità della procedura (sulla falsa riga di quanto avviene in una procedura giudiziaria). la mediazione in fatti, per definizione, è informale e certo non richiede, all’evidenza, assistenza tecnica per i pochi passaggi formali previsti (stesura e firma del verbale) lasciati alla cura del mediatore.
È da ricordare come la versione originaria del decreto 28 non prevedesse alcun obbligo di avvalersi di avvocati, neanche nelle procedure ‘obbligatorie’ e che tale previsione è stata introdotta solo nell’estate del 2013 – d.l. 69/2013 conv. in l. 98/2013 – su (sospettosamente interessata) pressione del CNF (Consiglio Nazionale Forense) e di altri organismi rappresentanti la categoria.
L’avvocato è una persona ed in mediazione partecipa alla discussione come qualsiasi altra persona presente. Pur non essendo ‘direttamente’ interessato al conflitto, né è coinvolto.
Al riguardo, tutti i partecipanti hanno riportato come tale coinvolgimento faccia sì che sono sempre osservabili nel comportamento degli avvocati le stesse dinamiche conflittuali riscontrabili nei loro clienti. Disempowerment e self-absorption e relativi shifts verso l’empowerment e la recognition.
Le mediazione ex decreto 28 costituiscono in definitiva, per il mediatore trasformativo, preziose occasioni per intervenire in conversazioni conflittuali sempre complesse (discussioni che coinvolgono almeno 4 soggetti), nelle quali spesso le linee di discorso avviate e coltivate dagli avvocati (A) si aggiungono e interferiscono con quelle avviate e coltivate dai rispettivi clienti (C). il che aumenta notevolmente la complessità delle interazioni osservabili: C1-C2; C1-A1; C1-A2; C2-A1; C2-A2; A1-A2; …
Uno dei casi riportati come frequenti è quello in cui il “discorso legale” occupa gran parte, se non tutta, della totalità delle interazioni che avvengono in una sessione. In altri termini, questo si dà quando gli avvocati monopolizzano sostanzialmente la discussione, tenendola in particolare su questioni ‘legali’ e comprimendo o limitando la partecipazione dei loro clienti alla conversazione. Nell’ottica del mediatore trasformativo, questo può essere un fattore che impedisce che il confronto si trasformi da distruttivo in costruttivo.
Il mediatore deve peraltro sempre ricordarsi che il suo ruolo è quello di supportare le parti nelle loro scelte, non guidare le stesse o ‘stimolarle’ in modo direttivo. Particolarmente utili appare in tali casi il ricorso alla tecnica del checking-in, vale a dire far riflettere le parti sul fatto se ritengono o meno che la conversazione, per come sta avvenendo, sia loro utile.
L’avvocato non è mai ‘ingombrante’ (idea che spesso coglie i mediatori che tendono a far raggiungere alle parti un accordo…)
Altro aspetto interessante è dato infine dalla relazione cliente / proprio avvocato. Al riguardo sono state molte le esperienze riportate in tema di:
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