Il sottotitolo del tea break del 13 ottobre era “Discorsi su terzietà, pregiudizi, ortopedia a fin di bene” ed in effetti si è parlato di varie cose, tutte intorno alla (pretesa) purezza del mediatore rispetto alla situazione in cui interviene.
I partecipanti avevano varia formazione perché, oltre ai soci AMT vi erano molti ‘ospiti’, il che ha favorito, come sempre, la generazione di prospettive diverse ed interessanti.
Il punto di partenza della discussion è stato il fatto che, per definizione, il mediatore è (dev’essere) neutrale. Pochi dubbi sul fatto che tutti i mediatori seri vogliano genuinamente esserlo, evitando non solo di favorire platealmente e volontariamente un partecipante rispetto ad un altro, ma anche non dando modo di apparire di parte). Sin qui, tutto bene; e forse più che di neutralità sarebbe corretto parlare di imparzialità.
Ma….
– che succede se conosciamo bene un partecipante (e magari siamo pure suoi amici) mentre l’altro è un perfetto estraneo?
– qualcuno ci è più simpatico di un altro?
– qualcuno ci appare più debole di un altro
– una presa di posizione ci pare più ragionevole di un’altra?
– qualcosa che viene detto ci fa ricordare nostre vicende personali ed il modo in cui le abbiamo affrontate?
– qualcuno ci chiede che ne pensiamo della faccenda?
– ci accorgiamo che, anche non avendolo voluto, abbiamo fatto o detto qualcosa che poteva suonare una critica a qualcuno o un incoraggiamento di parte?
e soprattutto…
– come reagiamo quando arriviamo a pensare che, in quanto esseri umani, non potreremo forse mai essere realmente neutrali?
Un approccio trasformativo pare proteggere, per così dire, più di altri il mediatore contro i rischi di perdita di neutralità.
La pratica non-direttiva di intervento, nel rispetto del principio di auto-determinazione, risulta infatti la meno vulnerabile a ‘sbilanciamenti’ anche non voluti, ma comunque percepiti come tali dagli interessati.
Cio nonostante, non sempre le cose vanno così.
Qui il video: video Tea Break del 13 ottobre 2020