AMT Tea Break di gennaio 2020 – Avvocati e parti in mediazione

In occasione del Tea Break del 14/01/2020 si è parlato di parti e avvocati in mediazione.

1. Il contesto

Per quanto riguarda le mediazioni ex decreto 28/2010, è noto come le parti debbano avvalersi di avvocati nei casi in cui la mediazione sia prevista (art. 5.1 bis) come necessario prodromo all’avvio di un’azione in giudizio, le c.d. mediazioni obbligatorie” (in realtà, come noto, la terminologia è fuorviante perché quello che viene chiesto alle parti è, in pratica, di partecipare ad un primo incontro informativo, restando libere di optare se esperire o meno la mediazione ‘vera e propria’ – sull’argomento v. qui).

L’art. 8.1 del decreto 28 prevede, infatti, che “Al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato” e, anche se tale previsione non lo specifica, il precetto viene interpretato come valido solo per il caso delle c.d. materie obbligatorie.

2. Il problema del costo dell’assistenza legale

Un primo problema pratico emerso è stato quello del costo e degli oneri aggiuntivi a carico delle parti, che tale previsione rende necessari. Non si tratta di cifre irrisorie, considerato che per la maggior parte delle situazioni affrontate dai mediatori che hanno partecipato alla discussione – valutabile di valore da €25.000 a €50.000 – il costo medio per la partecipazione all’incontro informativo si è attestato sui €400 ca a carico di ciascuna parte. Laddove invece la mediazione sia stata svolta, l’esborso saliva ad almeno €2.500 e più (considerato anche il numero delle sessioni resesi necessarie).

In taluni casi è stato riportato che il costo ha fatto optare le parti per NON procedere con la mediazione.

Chiaramente si tratta di indicazioni di massima e di un campione estremamente limitato, ma è da chiedersi se la norma sia sensata e quale sia la sua vera ratio.

Al riguardo, non può credersi la ratio sia quella di assicurare una tutela adeguata alle parti, in scelte che possono incidere sui loro diritti. Non si vede infatti perché tale paternalistica attitudine dovrebbe giustificarsi in mediazione laddove non è prevista né nell’ordinaria gestione dei propri affari per via contrattuale, né nella gestione delle controversie per via arbitrale.

Neppure appare giustificato addurre giustificazioni relative alla complessità della procedura (sulla falsa riga di quanto avviene in una procedura giudiziaria). la mediazione in fatti, per definizione, è informale e certo non richiede, all’evidenza, assistenza tecnica per i pochi passaggi formali previsti (stesura e firma del verbale) lasciati alla cura del mediatore.

È da ricordare come la versione originaria del decreto 28 non prevedesse alcun obbligo di avvalersi di avvocati, neanche nelle procedure ‘obbligatorie’ e che tale previsione è stata introdotta solo nell’estate del 2013 – d.l. 69/2013 conv. in l. 98/2013 – su (sospettosamente interessata) pressione del CNF (Consiglio Nazionale Forense) e di altri organismi rappresentanti la categoria.

3. L’avvocato come partecipante

L’avvocato è una persona ed in mediazione partecipa alla discussione come qualsiasi altra persona presente. Pur non essendo ‘direttamente’ interessato al conflitto, né è coinvolto.

Al riguardo, tutti i partecipanti hanno riportato come tale coinvolgimento faccia sì che sono sempre osservabili nel comportamento degli avvocati le stesse dinamiche conflittuali riscontrabili nei loro clienti. Disempowerment e self-absorption e relativi shifts verso l’empowerment e la recognition.

Le mediazione ex decreto 28 costituiscono in definitiva, per il mediatore trasformativo, preziose occasioni per intervenire in conversazioni conflittuali sempre complesse (discussioni che coinvolgono almeno 4 soggetti), nelle quali spesso le linee di discorso avviate e coltivate dagli avvocati (A) si aggiungono e interferiscono con quelle avviate e coltivate dai rispettivi clienti (C). il che aumenta notevolmente la complessità delle interazioni osservabili: C1-C2; C1-A1; C1-A2; C2-A1; C2-A2; A1-A2; …

Uno dei casi riportati come frequenti è quello in cui il “discorso legale” occupa gran parte, se non tutta, della totalità delle interazioni che avvengono in una sessione. In altri termini, questo si dà quando gli avvocati monopolizzano sostanzialmente la discussione, tenendola in particolare su questioni ‘legali’ e comprimendo o limitando la partecipazione dei loro clienti alla conversazione. Nell’ottica del mediatore trasformativo, questo può essere un fattore che impedisce che il confronto si trasformi da distruttivo in costruttivo.

Il mediatore deve peraltro sempre ricordarsi che il suo ruolo è quello di supportare le parti nelle loro scelte, non guidare le stesse o ‘stimolarle’ in modo direttivo. Particolarmente utili appare in tali casi il ricorso alla tecnica del checking-in, vale a dire far riflettere le parti sul fatto se ritengono o meno che la conversazione, per come sta avvenendo, sia loro utile.

L’avvocato non è mai ‘ingombrante’ (idea che spesso coglie i mediatori che tendono a far raggiungere alle parti un accordo…)

4. Le relazione cliente/avvocato

Altro aspetto interessante è dato infine dalla relazione cliente / proprio avvocato. Al riguardo sono state molte le esperienze riportate in tema di:

  • occasioni in cui l’avvocato fa resistenza quanto a decisione il suo cliente dichiara di voler procedere adottare (o che al mediatore è parso volesse adottare). Nell’ottica trasformativa, vale quanto sopra detto. Il ruolo del mediatore è quello di supportare (non influenzare o dirigere) le parti (inclusi gli avvocati) nella presa di decisioni. Queste possono riguardare sia il modo in cui viene condotto il confronto in mediazione, sia eventuali soluzioni che emergono dallo stesso. Particolare attenzione va posta alla tentazione di voler ‘difendere’ la parte dal suo avvocato, perché questo presuppone n giudizio di valore da parte del mediatore sulla bontà o meno di certe soluzioni piuttosto che altre.
  • effettivo contributo degli avvocati alla disamina / elaborazione di soluzioni utili ai loro clienti (problem solving). In tali casi l’avvocato risulta spesso svolgere un’utile funzione di consulente/confidente. Questo avviene in genere quando l’intervento del mediatore ha effettivamente condotto ad una trasformazione della qualità dell’interazione fra le parti ed un confronto costruttivo è reso possibile.

 

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