Lettera aperta per il rafforzamento della mediazione

Una quarantina di organismi di mediazione hanno inviato il 20 dicembre 2019 una lettera aperta al Governo per protestare contro il ventilato taglio di alcune materie oggetto di primo incontro informativo obbligatorio.La misura riguarderebbe le seguenti materie:
– responsabilità sanitaria
– contratti assicurativi, bancari e finanziari
– scioglimento di comunioni.

Come contropartita verrebbe aggiunte le materie relative a:
– mandato
– mediazione

 

Se andasse in porto, la misura condurrebbe di fatto, probabilmente, ad un non indifferente restringimento delle domande di mediazione.
Quel che preoccupa è però l’atteggiamento dei governanti che considerano la mediazione esclusivamente da un punto di vista funzionale al contenimento del contenzioso giudiziario e mostrano di non avere né presente, né tanto meno in programma, la promozione della mediazione (intesa come utile modalità di gestione dei conflitti) presso il grosso pubblico.

Convegno a Trento sulla mediazione “delegata” (25 ottobre 2019)

 

20191025 locandina seminario TN Med

Venerdì 25 ottobre 2019 si terrà a Trento un incontro organizzato dalla prof. Silvana Dalla Bontà dal titolo “La mediazione disposta dal giudice – Esperienze a confronto e prospettive future
L’incontro si tiene dalla 14.30 alle 18.30 nella sala conferenze della Facoltà di Giurisprudenza, in via Verdi 53.

Questo il programma:

  • La mediazione delegata nel Progetto “Giustizia semplice”  (Paola Lucarelli, un. Firenze)
  • La mediazione delegata dal punto di vista del giudice (Alessandro Ghelardini, trib. Firenze, Marco Tamburrino, trib. Trento, Marcello Mancini, GdP Riva del Garda)
  • La mediazione delegata dal punto di vista dell’avvocato (Flavia Torresani, OA Trento, Thomas Pichler, OA Bolzano/Bozen)
  • La mediazione delegata dal punto di vista del mediatore (Maurizio Di Rocco, Corrado Mora, Carlo Mosca).

La partecipazione è gratuita.

Crediti:

Per iscriversi, contattare la segreteria organizzativa (email: eventi.giurisprudenza@unitn.it)

Ci son diversi modi di fare il mediatore…

Ci son diversi modi di fare il mediatore perché diversi possono essere gli obiettivi che il mediatore si prefigge (e quindi le modalità con le quali vuole perseguirli).
Spesso tali obiettivi sono frutto di una scelta espressa del mediatore, altre volte invece sono il portato implicito di altri fattori (in particolare la formazione ricevuta, l’esperienza maturata, la sua indole naturale ed il contesto in cui la mediazione si svolge).
Come ho recentemente ricordato nel mio lavoro La mediazione trasformativa (Tiaki Publ, 2018, 15ss) – cui rimando per approfondimenti – possono, grosso modo, essere identificati tre grandi modelli di riferimento cui ogni mediatore (consciamente o meno) fa riferimento:
• Il modello armonico: orientato alla ricostituzione degli strappi che il conflitto comporta sia a livello interpersonale che nell’ambiente in cui i soggetti coinvolti operano;
• Il modello razional-funzionalista: orientato alla identificazione di soluzioni ai problemi identificati come base / espressione del conflitto;
• Il modello relazionale: orientato al superamento degli ostacoli che impediscono o ostacolano la relazione fra le parti.

L’approccio trasformativo può dirsi collocato nel terzo (il modello relazionale), in quanto è orientato al miglioramento della qualità dell’interazione fra le parti.
Vi è un dato peculiare peraltro del modello trasformativo rispetto a quasi tutti gli altri e cioè che esige dal mediatore un approccio non-direttivo (vale a dire non teso a condizionare le parti in lite quanto al modo di confrontarsi o alle risoluzioni da adottare).
La maggior parte degli altri approcci, se non tutti, presentano un grado di direttività più o meno elevato.
Questa differenza di approccio mentale si traduce in differenti strategie che vengono impiegate dal mediatore nella pratica.
Un recente articolo apparso sul blog dell’ISCT ha ad esempio affrontato la questione del ricorso alle c.d. ‘sessioni congiunte’ (vale a dire con tutte le parti presenti) piuttosto che a quelle ‘individuali’ (con solo parte di esse). Il ricorso alle une piuttosto che alle altre esemplifica in maniera evidente la differenza di base fra l’azione dei mediatori trasformativi e quella di mediatori che adottano un diverso approccio. Prendiamo in particolare i mediatori problem-solving, che probabilmente costituiscono la maggioranza dei mediatori oggi operanti. Il loro modello di riferimento può dirsi il secondo di quelli sopra richiamati (quello razional-funzionalista). Consciamente o meno essi perseguono l’obiettivo di ‘metter le parti d’accordo’ (usano infatti dire che la mediazione “ha successo” se si chiude con un’intesa) e per raggiungere tale obiettivo mettono in campo usualmente tecniche diverse (dalle più rozze alle più raffinate), che comunque tendono ad “instradare” le parti verso una soluzione concordata. L’uso delle sessioni separate è una delle più usate, perché permette al mediatore di ricostruire la “vera” mappa delle rispettive esigenze (al di là delle pretese manifestate nel confronto aperto). Funzionale a ciò è, nell’incontro individuale, la confidenzialità dello stesso e l’assenza di fattori perturbanti quali soprattutto la presenza della controparte. Spesso, il mediatore fa uso in ogni sessione separata delle informazioni raccolte nelle precedenti – certo non in maniera plateale (violerebbe l’impegno di confidenzialità), lavorando piuttosto sui pertugi che sa essere aperti, o su prospettive nuove che ha intuito essere attuabili. La distinzione fra i due tipi di sessione (congiunta ed individuale – spesso chiamata caucus, mutuando un termine dal gergo politico statunitense) è quindi decisamente importante per il mediatore problem-solving. Il ricorso alla prima viene fatto di regola in apertura di mediazione e poi solo quando le prospettive di un accordo possono dirsi assai buone. Il rischio è che il castello di carte crolli ed occorra ripartire da zero (molti mediatori infatti evitano del tutto di mettere insieme le parti e nel corso dell’intera sessione di mediazione vanno da una stanza all’altra per consultare separatamente le parti, che quindi mai si trovano faccia a faccia).
Nell’ottica trasformativa una tale differenza non ha un gran senso. Il termine “sessione congiunta” viene raramente utilizzato, dato che è la modalità ovvia con cui la mediazione si tiene. Le sessioni individuali possono anche esserci, ce una parte ne manifesta il bisogno, ma ciò nei fatti accade poco frequentemente.
Il fatto è che il mediatore trasformativo interpreta il suo ruolo, come sopra ricordato, nel senso di supportare il miglioramento dell’interazione fra le parti. E se queste non si parlano, non c’è alcuna interazione. Questo viene esplicitato dal mediatore sin dai primi contatti con le parti, spiegando loro che il ruolo del mediatore è quello di aiutare le parti ad avere un confronto costruttivo e che ogni decisione al riguardo è comunque a loro rimessa.
Intendiamoci, quindi, in base al principio di non-direttività, il mediatore trasformativo rispetta l’eventuale desiderio/esigenza delle parti di starsene ognuna nella propria stanza e non incontrarsi. Quel che comunque il mediatore in genere evita di fare in tali casi è quella di agire da latore di messaggi da una parte all’altra, perché inevitabilmente personalizzerebbe tali messaggi e assumerebbe il controllo sugli stessi e sull’andamento dell’interazione che si realizza così fra parti distanti.

Il Manifesto Quadra sulla mediazione familiare

Qualche anno fa, in sede ADR Quadra – il centro di mediazione che promuove da tempo l’uso dell’approccio trasformativo fra i suoi mediatori – è stato elaborato un ‘ Manifesto su mediazione familiare‘.
L’esigenza si è posta per ribadire i principi di base che informano l’azione dei mediatori trasformativi in questo contesto, ed in particolare il rispetto della libera autodeterminazione delle parti coinvolte.
Molte mediazione di questo genere sono gestite con successo dai mediatori che operano presso Quadra (per informazioni v. qui) ed il tema è stato oggetto di un’interessante seminario tenuto nel luglio 2017 a Treviso con la partecipazione di giudici e psicologi, mediatori e operatori sociali (v. qui).

L’approccio trasformativo “è buono solo per…”

Uno dei falsi miti che circolano nel mondo della mediazione o comunque fra chi si occupa di conflitto è che l’approccio trasformativo sia una cosa interessante, ma… vada bene solo per taluni tipi di conflitti (magari quelli in cui le parti manifestano particolare animosità, o che riguardano rapporti di lunga data, o la necessità di mantenere relazioni in futuro e che richiedano una sorta riconciliazione). Altre questioni (in particolare quelle relative a soldi) richiederebbe ben altri – magari più muscolari o smaliziati – atteggiamenti.

Impostazione sbagliata. Che tradisce la non conoscenza della filosofia alla base del metodo e dei modi in cui questo viene implementato. L’approccio trasformativo richiede al mediatore soprattutto un atteggiamento mentale: quello di supportare l’autodeterminazione delle parti mentre queste affrontano una situazione conflittuale. Chiaramente questo si applica a tutte le ipotesi, indipendente dalle questioni trattate ed al contesto.

Un recente contributo di Dan Simon al blog dell’ISCT affronta il tema e lo fa mettendo in evidenza come:

a) prima di tutto, è molto difficile, se non impossibile, sapere veramente quale sia l’oggetto di un conflitto PRIMA di iniziare la mediazione. L’esperienza mostra come l’interazione conflitto possa svolgersi e toccare aspetti neppure ipotizzati, prima di cominciare a parlarsi. È illusorio quindi pensare di categorizzare tipi di lite e pensare che un approccio di mediazione vada per per alcuni e meno bene per altri.

b) non rientra fra gli obiettivi del mediatore trasformativo ‘riconciliare’ le parti. Naturalmente ciò può essere un risultato del suo intervento (spesso lo è), ma non è un obiettivo perché tradirebbe il principio di rispettare l’autodeterminazione.

c) discutere di soldi o rapporti commerciali comunque mette in gioco decisioni umane. In realtà l’approccio trasformativo, lungi dall’essere inadeguato alla business mediation, è molto più utile alle parti che altri approcci, proprio perché agevola il negoziato e l’intervento del mediatore si mantiene sempre rispettoso dell’autodeterminazione degli attori in gioco.

Per Dan Simon, insomma, i tipi di controversie che possono essere gestite bene da un mediatore trasformativo, sono.. “tutte quelle che stanno a cuore alle parti coinvolte”.

 

Ultime sul ‘dialogo trasformativo’

In occasione della recente conferenza europea dal titolo “Transformative Dialogue: Party-Driven Conversations Across Differences”, organizzata in Olanda dall’ISCT insieme alla Stichting Het Transformatieve Model (una fondazione che promuove il ricorso all’approccio trasformativo nella gestione dei conflitti), una parte dei lavori – curata da Judy Saul and Erik Cleven – è stata dedicata al “dialogo trasformativo”. Questo è l’obiettivo dei facilitatori che lavorano con gruppi e comunità in conflitto e cercano di co-costruire con gli interessati coinvolti un modo di interagire che produca effetti positivi.

Judy Saul and Erik Cleven. Photo by Abele Reitsma

Questa co-costruzione si traduce essenzialmente nel supporto che il facilitatore dà alle persone in conflitto nel decidere i temi da affrontare ed i modi per farlo. Anche in tali situazioni, che – a differenza delle mediazioni di liti interpersonali, facilmente coinvolgono una pluralità di centri di interesse e numerosi partecipanti – l’approccio non direttivo caratterizza l’azione del facilitatore: non è lui/lei che decide di che parlare e con che priorità.

Al meeting olandese hanno preso parte tra gli altri facilitatori operanti in scenari conflittuali mondiali, che hanno riportato le loro esperienze. Così Vesna Matovic, Head of Training and Learning della International Alert, un’organizzazione inglese, che ha parlato di dicome ha organizzato sessioni di dialogo trasformativo in Somalia.

Jody Miller ha riferito poi dell’iniziativa denominata “100 Cups of Coffee“, organizzata a Poughkeepsie, una cittadina dello stato di New York, per la quale il dialogo trasformativo è stato il metodo usato per la discussioni di questioni diverse interessanti la comunità.

Angie Gaspar  (staff counselor all’Imperial College Healthcare NHS Trust di Londra) and Anja Bekink, mediatrice olandese, hanno parlato infine delle loro esperienze in ambito ospedaliero e dei conflitti fra pazienti, loro parenti, medici e altri operatori.

Mediatori trasformativi a Brno

Da qualche anno anche in Repubblica Ceca l’approccio trasformativo alla mediazione sta prendendo piede (grazie anche a ADR Quadra che organizzò nell’ottobre del 2012 un corso base a Milano cui parteciparono Lenka Poláková e Robin Brzobohaty, due mediatori familiari di Olomuc che poi cominciarono a divolgare il verbo nel paese).
Un articolo recentemente postato da Dan Simon (componente il board di ISCT) dà conto di un workshop di perfezionamento tenuto lo scorso luglio presso il centro di mediazione di Brno diretto da Martina Cirbusová.

L’incontro era focalizzato sui conflitti in ambito familiare ed i mediatori si sono trovati ad esercitarsi su casi nei quali il conflitto era di particolare intensità. Particolare attenzione è stata posta alle strategie del mediatore che includono l’uso del c.d. check-in, vale a dire la verifica con la/e parte/i di come valutano la situazione e di quali mosse pensano sia opportuno intraprendere. Ad esempio in un caso esaminato i due coniugi avevano affrontato animosamente  vari argomenti, partendo dalla programmazione delle visite ai figli ma finendo presto a parlare di soldi. Quando il mediatore ha riassunto quello che era emerso ha detto “All’inizio voi avete parlato del calendario delle visite ed accennato al fatto che sarebbe opportuno metter nero su bianco, ma poi il discorso è passato a temi diversi. Volete riprenderlo ora questo tema, o preferite…?“.

Evidentemente il check-in è uno strumento che da usare con delicatezza perché facilmente può essere usato a fini direttivi (portare cioé le parti a discutere di quello che a parere del mediatore è importante affrontare). Il mediatore trasformativo invece cura che questa sia un’occasione per le parti di valutare la situazione ed esprimere, se credono, il loro punto di vista. La chiave è l’atteggiamento mentale del mediatore: non tradire l’idea di aiutare candidamente le parti, senza imporre loro il proprio punto di vista.

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